Dislessia e voti scolastici: il "6 dislessico"



Finita, per tutti, o quasi, la scuola, è tempo di pagelle. Tra gli studenti dislessici e le loro famiglie, a seconda dei risultati ottenuti, c’è chi sarà più o meno soddisfatto. Molti i voti attesi altri, invece, saranno, nel bene o nel male, sorprendenti

In effetti, il rapporto tra la dislessia e i voti scolastici, a volte, non è dei migliori. Non dico questo perché i dislessici non sono in grado di ambire ad ottimi giudizi, anzi, ma perché capita, in qualche caso, che non vengano giudicati per come meritano. Ad esempio sono molti i bambini e i ragazzi che pur studiando molto non vedono premiati i loro sforzi e si trovano a fare i conti con valutazioni negative e purtroppo, perfino bocciature. Altri ancora si ritrovano un bel 6 (o sufficienza) sul registro anche dopo aver consegnato un compito in bianco o quasi. Come può accadere tutto ciò?

Accade perché molto probabilmente la legge 170/2010 non viene applicata correttamente, gli strumenti compensativi/dispensativi non concessi o concessi in maniera errata, il PDP non rispettato. Questo in particolare nel primo caso. Il secondo, invece, è un caso un po' più particolare. Assegnando il "6 dislessico", come l'ho definito nel titolo del post in ricordo del più famoso 6 politico, gli insegnanti e le scuole sembrano "lavarsi mani" e "mettersi l'anima in pace". Mi spiego meglio. Consapevoli di non aver fatto il massimo per agevolare, come da legge, il percorso scolastico dell'alunno con DSA lo valutano "regalandogli" una sufficienza anche se non meritata, e quindi, facendo felice, a loro modo di vedere, sia lo studente che i suoi genitori. 

Anche nel momento delle pagelle finali il "6 dislessico" appare magicamente su carta trasformando tutti quei pessimi voti accumulati, magari immeritatamente, durante tutto l'anno scolastico. Faccio un esempio. Prendiamo una materia scolastica, storia, e diversi compiti in classe e interrogazioni. Un ipotetico ragazzo dislessico studia tutto il giorno per prepararsi alle prove, più degli altri, rinuncia al tempo libero per essere pronto. L'indomani le prove e i voti: 5, 4, 5 e ½ e così via. Tutti voti negativi che demotivano psicologicamente il ragazzo, lo inducono a pensare che è un buon a nulla, che alla fine dell'anno verrà bocciato e che per lui non vale la pena studiare. E per giunta può venir trattato e considerato dai compagni come tra gli ultimi della classe. 

Poi, però, come per magia, alla fine dell'anno in pagella tutti quei brutti voti diventano positivi sintetizzati in un tondo segno grafico numerico: 6. Perché allora dovrebbe essere felice il dislessico di quel 6? Solo perché ha ottenuto la promozione? Certo non è cosa da poco, ma che dire di tutte le delusioni provate durante tutto il corso dell'anno nonostante lo studio, i pianti, le arrabbiature le ore private al gioco? Non c'è da stupirsi se poi in questi ragazzi nasca un rifiuto della scuola e rinuncino ad impegnarsi data la mancanza di risultati. Impossibile non capirli. Qual è allora il metodo di giudizio sbagliato? Quello adoperato durante ogni prova effettuata durante l’anno o quello che ha portato ha scrivere quel 6 in pagella? 

Come affermato da Giacomo Cutrera, dislessico laureato in Ingegneria informatica e autore del libro "Il demone bianco", "i dislessici devono poter prendere 1 quando non studiano e 10 quando invece studiano". Come tutti gli altri studenti, quindi, accertato il rispetto del PDP e della legge 170/2010, devono poter prendere voti bassi e alti quando lo meritano. Non hanno certo bisogno di pietà e neanche devono essere considerati degli avvantaggiati visto l'uso degli strumenti compensativi e dispensativi.
La speranza è che di casi come il "6 dislessico" o simili vadano piano piano a scomparire di pari passo con l'aumento della conoscenza della dislessia fra gli addetti ai lavori e che i bambini e ragazzi con DSA vengano giudicati per quello che realmente meritano.

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Roberto M.


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