La dislessia ospite a "Cose dell'altro geo" su Raitre. Informazione o disinformazione?


Dopo diverse ricerche finalmente sono riuscito a trovare la puntata del 14 marzo 2012 di "Cose dell'altro Geo" in cui si è parlato della dislessia. Della diretta avevo visto solo gli ultimi minuti perciò è stata l'occasione per rivedere il filmato con maggiore attenzione. Ultimamente si parla molto spesso di queste difficoltà sui media, a volte bene a volte meno bene. Nel caso di questa trasmissione è possibile ritenere che si ci trovi al cospetto di un esempio abbastanza positivo. L'informazione è stata costruita in modo completo ed
accurato, nonostante i pochi minuti a disposizione, partendo dalle nozioni basilari della dislessia e degli altri DSA, da come si riconoscono a come si interviene. A fare chiarezza sull'argomento è il dott. Iozzino del Centro per il trattamento della dislessia dell’ASL di Roma. Fin qui tutto perfetto.
Ciò che invece mi ha lasciato un po’ perplesso è stata la testimonianza di uno studente dislessico universitario, Andrea, o più precisamente di come suo padre ha ripercorso le tappe della storia del ragazzo. L'informazione che avevo ritenuto corretta fino a quel momento è cominciata, allora, a scricchiolare. I primi cenni di cedimento si sono avuti già quando il presentatore, Massimiliano Ossini, ha affermato che "...il ragazzo deve capire solamente che deve forse impegnarsi di più rispetto agli altri ragazzi" e sono proseguiti quando il padre ha aggiunto "sì, deve studiare di più..." costruendo poi con un discorso che mi fa presuppore che conosca poco il problema di suo figlio. Mi riferisco a quando dice che si è accorto della dislessia del figlio perché "parlava male" (la dislessia non compromette il linguaggio verbale ma le abilità di lettura. Non tutti i dislessici "parlano male") alludendo quindi alla dislessia come ad un disturbo del linguaggio. Niente di più sbagliato. Questo è quello che pensano la maggior parte delle persone del nostro Paese quando, ad esempio, si dice "oggi sono dislessico" perché si fa confusione tra una parola ed un altra durante un discorso. Parole del genere non me le aspetto, però, da chi vive da vicino la dislessia perché se non si conosce davvero il problema non si può intervenire nel modo corretto e a pagarne le conseguenze è, ovviamente, il dislessico in persona. 
Questa sensazione mi viene confermata nel proseguo del racconto del padre di Andrea quando parla di "una fatica in più..." o quando ribadisce che suo figlio "studia molto di più degli altri ragazzi..." e soprattutto quando afferma che "...deve stare più concentrato". Per fortuna, secondo lui ed il presentatore, "i risultati si vedono". Ma quali risultati? Vogliono farci intendere che i dislessici possono superare la dislessia faticando di più e studiando più degli altri? Se davvero le cose stessero così significherebbe che il ragazzo in questione per affrontare la dislessia ha dovuto sudare sette camicie magari dovendo rinunciare al tempo libero, al gioco e allo sport per avere discreti risultati a scuola. E le misure compensative e dispensative che la legge 170/2010 consiglia di utilizzare? E il computer? E le sintesi vocali?
Il discorso fatto dal padre di Andrea è un discorso che mi sarei aspettato da un genitore inconsapevole delle difficoltà del figlio o da un insegnante che conosce poco la dislessia e i DSA, soprattutto quando viene detto che i dislessici devono impegnarsi di più. Una delle frasi più comuni che il dislessico sente ripetersi da chi la dislessia non la conosce affatto.
Potrei giustificare le parole di quest’uomo solo con l’emozione provata nel parlare in televisione davanti a milioni di telespettatori, ma purtroppo nessuno in studio lo corregge, neanche lo specialista che fino ad allora aveva divulgato una corretta informazione e che continua a farlo anche successivamente a quel momento. 
Per questi motivi ritengo che questo spazio dedicato alla dislessia sia un esempio "abbastanza" positivo di divulgazione e non "pienamente" positivo. C’è molto da migliorare. Penso, infatti, che sia importante, quando si parla di questo argomento, fare molta attenzione alle parole utilizzate poiché il rischio di passare dall’informare al disinformare è molto alto tenendo ben presente che in ballo c'è sempre il diritto allo studio di migliaia di bambini e ragazzi dislessici.
Voi cosa ne pensate? Condividete quanto affermato dalle parole del padre di questo ragazzo?


Licenza Creative Commons

Commenti

  1. Sì!
    Da genitore di un ragazzo severamente dislessico, ormai universitario, dico di sì.
    La fatica e il tempo sono due parametri che vanno considerati: per avere risultati appena accettabili, il dislessico deve mettere in campo energia e tempo che gli altri non si sognerebbero mai di usare.
    Gli strumenti compensativi possono essere un valido aiuto ma occorre un lungo addestramento e un uso continuo perché siano efficaci. Prima vengono introdotti e meglio è.
    Da insegnante dico anche che nella scuola sarebbe sufficiente SENSIBILITÀ nell'adottare strategie adatte all'apprendimento "diverso" che hanno questi ragazzi.
    Da formatore AID mi occupo proprio di in-formare gli insegnanti sull'utilizzo di questi strumenti ma è sempre mia cura renderli consapevoli della fatica che i dislessici fanno nelle "normali" attività scolastiche.

    RispondiElimina
  2. Può anche essere interessante leggere questo articolo
    http://www.rossellagrenci.com/2012/04/la-dimensione-relazionale-nei-d-s-a-secondo-le-linee-guida-della-legge-170-9/

    RispondiElimina
  3. Molto interessante davvero l'articolo di Rossella Grenci soprattutto quando fa riferimento alle attività didattiche individuali e personalizzate per gli alunni dislessici. Strumenti come il PDP infatti sono indispensabili per permettere ad ognuno di loro di esprimere appieno tutte le proprie potenzialità con impegno, tempo e fatica pari a quelli dei loro compagni di classe non dislessici. Nel video sopra analizzato di una soluzione di questo tipo se ne fa solamente cenno. Rischia invece di passare il messaggio che l’unica possibilità per i dislessici di avere successo a scuola è quella di applicarsi di più nello studio, faticare il doppio o il triplo degli altri e restare concentrati. Molti di loro lo fanno già ma non ottengono i risultati sperati e magari vengono anche etichettati come pigri, stupidi o svogliati. Non dico di certo che non debbano impegnarsi, ma se fossero adottati e seguiti alla lettera i PDP, se fossero utilizzati metodi di insegnamento e apprendimento diversi e gli strumenti compensativi e dispensativi, se vi fosse un po’ più di quella sensibilità di cui lei parlava, forse questi ragazzi potrebbero una volta per tutte avere la possibilità di eccellere con più facilità e minori frustrazioni anche all'interno del sistema scolastico. Forse, però, chiedo troppo.

    RispondiElimina

Posta un commento