Dislessia e DSA: come evitare ricadute psicologiche negative
I DSA come noto sono caratteristiche dell'individuo che rendono più difficile imparare a leggere, a scrivere o a fare i calcoli. Non bisogna però mai dimenticare che queste difficoltà possono anche influenzare la componente psicologica della persona. Può accadere, infatti, che i dislessici (bambini, ragazzi o anche adulti) si sentano inadeguati per via della loro difficoltà. Arrivano a sentirsi stupidi, a vergognarsi di loro stessi e ad avere scarsa autostima. Un'immagine molto difficile da estirpare che può condizionare in maniera negativa tutto il corso delle loro vite.
Philip Schultz, poeta e scrittore dislessico vincitore del Premio Pulitzer 2008, raccontando la sua storia nel libro "La mia dislessia" si sofferma proprio su questo punto e lo fa prendendo in prestito le parole di Sally Shaywitz, docente di Neurologia Pediatrica all'Università di Yale e autrice del libro "Overcoming Dyslexia":
«C'è un altro indizio decisivo di dislessia presente nei bambini come negli adulti: il fatto che entrambi sostengono di soffrire. La dislessia fa soffrire. Costituisce un attacco violento all'autostima. Per i bambini delle elementari ciò può esprimersi nella riluttanza ad andare a scuola, nell'instabilità di umore, nell'uso di espressioni come "sono stupido" o "mi prendono sempre in giro"» afferma Sally Shaywitz, «mentre gli adolescenti sviluppano un senso di vergogna e si sforzano di nascondere i problemi che hanno con la lettura marinando la scuola, fingendo di avere dimenticato i compiti e facendo di tutto per non leggere ad alta voce in classe. Dopo tanti anni di assalti alla loro autostima è naturale che gli adulti si portino dentro molto dolore e tristezza».
Come evitare che questo accada?
In primis è importantissimo individuare precocemente un eventuale DSA in modo tale da attenuare l'incidenza delle difficoltà di apprendimento.
In secondo luogo è di vitale importanza l'applicazione e il rispetto della Legge 170 del 2010 e delle sue linee guida da parte della scuola. In questo senso il Piano Didattico Personalizzato (PDP) è uno strumento fondamentale. Dalla sua redazione e soprattutto dalla sua effettiva applicazione dipendono le possibilità di apprendimento e di successo scolastico dell'alunno dislessico e di conseguenza la costruzione di una positiva identità psicologica e sociale.
Le succitate linee guida alla Legge 170, emanate nell'ormai lontano luglio del 2011, intervengono, al punto 5, proprio su quest'ultimo aspetto:
"5. Dimensione Relazionale
Il successo nell’apprendimento è l’immediato intervento da opporre alla tendenza degli alunni o degli studenti con DSA a una scarsa percezione di autoefficacia e di autostima. La specificità cognitiva degli alunni e degli studenti con DSA determina, inoltre, per le conseguenze del disturbo sul piano scolastico, importanti fattori di rischio per quanto concerne la dispersione scolastica dovuta, in questi casi, a ripetute esperienze negative e frustranti durante l’intero iter formativo.
Ogni reale apprendimento acquisito
e ogni successo scolastico rinforzano negli alunni e negli studenti con DSA la percezione
propria di poter riuscire nei propri impegni nonostante le difficoltà che
impone il disturbo, con evidenti connessi esiti positivi sul tono psicologico
complessivo.
Di contro, non realizzare le
attività didattiche personalizzate e individualizzate, non utilizzare gli
strumenti compensativi, disapplicare le misure dispensative, collocano l’alunno
e lo studente in questione in uno stato di immediata inferiorità rispetto alle
prestazioni richieste a scuola, e non per
assenza di “buona
volontà”, ma per
una problematica che lo
trascende oggettivamente: il
disturbo specifico di apprendimento.
Analogamente, dispensare
l’alunno o lo
studente con DSA da alcune
prestazioni, oltre a non
avere rilevanza sul piano
dell’apprendimento – come la
lettura ad alta voce in
classe – evita
la frustrazione collegata alla dimostrazione della propria difficoltà.
È
necessario sottolineare la
delicatezza delle problematiche
psicologiche che s’innestano nell’alunno o nello
studente con DSA
per l’utilizzo degli strumenti
compensativi e delle misure dispensative.
Infatti, ai compagni di
classe gli strumenti compensativi
e le misure
dispensative possono
risultare incomprensibili facilitazioni. A questo
riguardo, il coordinatore
di classe, sentita la famiglia interessata, può avviare
adeguate iniziative per condividere con i compagni di classe le ragioni
dell’applicazione degli strumenti e delle misure citate, anche per evitare la
stigmatizzazione e le ricadute psicologiche negative.
Resta ferma,
infine, la necessità
di creare un
clima della classe
accogliente, praticare una gestione
inclusiva della stessa,
tenendo conto degli
specifici bisogni educativi
degli alunni e studenti con DSA."
Purtroppo dalle "storie di dislessia" che leggiamo o ascoltiamo ogni giorno ci si rende conto che tali indicazioni troppo spesso vengono ignorate. A farne le spese sono tanti bambini e ragazzi con DSA che oltre ad avere evidenti difficoltà di lettura, scrittura o calcolo potrebbero ritrovarsi un domani ad essere adulti tristi, frustrati, rinunciatari, inadeguati e con scarsa autostima. Problematiche ben più gravi dei DSA stessi.
Vogliamo evitarlo?
Purtroppo dalle "storie di dislessia" che leggiamo o ascoltiamo ogni giorno ci si rende conto che tali indicazioni troppo spesso vengono ignorate. A farne le spese sono tanti bambini e ragazzi con DSA che oltre ad avere evidenti difficoltà di lettura, scrittura o calcolo potrebbero ritrovarsi un domani ad essere adulti tristi, frustrati, rinunciatari, inadeguati e con scarsa autostima. Problematiche ben più gravi dei DSA stessi.
Vogliamo evitarlo?
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Roberto M.
Fonte: Linee guida legge 170/2010; "La mia dislessia" di Philip Schultz
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