"Cara maestra...come ho odiato la tua penna rossa!"




"Cara maestra...
Non so se posso chiamarti ancora così, non faccio più parte della tua classe ormai.
Ma forse sì. La mamma mi ha detto una volta che la “maestra” è una persona che resta dentro “per sempre”. Anche quando si diventa grandi.
E allora sì, sei ancora la “maestra”.

Mi hai insegnato un giorno (non tanto tempo fa), che le lettere devono cominciare con “caro” o “cara”, e così comincio io.
Cara maestra, abbiamo passato alcuni anni insieme, mi hai conosciuto che ancora non sapevo scrivere, né leggere, né far di conto.
Ma tu eri lì, perché io imparassi a mettere su quel foglio bianco le mie prime parole, a contare le mie prime caramelle sul quaderno a quadretti.

Sai, io ci provavo a contare quelle caramelle ma, chissà poi perché, me ne ritrovavo sempre qualcuna in più o qualcuna in meno.
Le parole poi, le mie, parevano seguire una danza con l’andamento di una musica che, evidentemente, solo io sentivo.
Io dovevo imparare. E tu eri lì.
Non te l'ho mai detto, ma spesso la tua penna rossa su quelle parole hanno coperto quella musica e hanno lasciato lo spazio a un rumore più sordo.
Più cancellavi, più quel rumore copriva gli altri suoni, quelli  che invece avrei dovuto sentire.
Come ho odiato la tua penna rossa!


Ho ancora qui tutti i quaderni, soprattutto quelli della 1ª elementare!
La pagina con su scritto il mio nome, ripetuto tante volte. Anche quella pagina resta lì con i suoi suoni sordi.
Poi questi suoni sordi, col tempo, non li ho sentiti più. Non potevo. Era più forte il rumore delle tue parole, “Scrivi bene” , “Non si capisce niente”,
“Sei disordinato”...
I rumori aumentavano e non solo nella testa, anche nella pancia.
Aumentavano i rumori e anche i mal di pancia.
Così per quanto mi sforzassi di piacerti, sentivo di deluderti sempre.

A un certo punto, avrai pensato che nemmeno la penna rossa mi poteva dare una mano! Menomale... e mentre i quaderni dei miei compagni erano coperti di faccine sorridenti, di cuori e di “eccellente” sul mio leggevo solo una V di visto.
Almeno non sentivo più rumore.

Poi ti è stato detto che avevo un DSA.

Per me è stata una liberazione. Ho finalmente capito perché danzavano le mie parole e perché sparivano le caramelle dai conti.
Ma per te no, non è stata una liberazione.
Ti è scappato tutto di mano! (come per me le caramelle). E così, hai cominciato davanti a tutti i compagni a dirmi di non fare certe cose, a farmi ripetere solo poche frasi di una poesia, a fare cose più semplici. Avrei voluto chiederti “Perché?”.
Sai, io le imparavo lo stesso le poesie.
Quelle dedicate alla mamma, al papà e ai nonni non si potevano recitare a metà... ma tu non le hai mai sentite.

“Cara maestra”, oggi non sei più la mia maestra... e non è certo per colpa della tua penna rossa, no certo!
Tu sai come siamo fatti noi bambini... a scuola se non siamo bravi per la maestra, non siamo bravi mai. E i bambini non usano la penna rossa con chi non è bravo, usano parole dure e soprannomi.
E quanto rumore fanno!
Strano, quelli li sentivi pure tu, ma a te non facevano male. Dicevi che non erano nulla, di non ascoltare... Ma come spiegarti che per me era impossibile, io che sentivo forte anche il rumore di una penna!

“Cara maestra”, era da tempo che volevo dirtelo. Ora sono felice. Niente più rumori sordi, nemmeno se nei calcoli mi scappa una caramella.
Non ce l’ho con te, come dice la mamma tu resterai sempre la maestra! Ma non la mia!

Con gratitudine..."

- Elisa -


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Roberto M.
Foto di Ulrike Leone da Pixabay

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